A noi stessi.
Perché siamo la prima persona a cui stringiamo la mano,
ma l’ultima che conosciamo fino in fondo.

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domenica 28 settembre 2008

Normale.

Durante le prime ora del giorno le parole sono più semplici. E scivolano.
Così, adesso, in un momento di delusione e rabbia verso me stessa, butto giù due righe.
Non è più possibile farsi prendere per il culo in questa maniera, sempre, dalle prime persone che arrivano davanti a me, per caso o per gioco... o per sfiga.
Sono stufa di sbagliare a causa degli altri, per colpa degli altri. Di lasciare che le cose vadano male senza un minimo di coraggio per reagire in maniera diversa.
"Le cose sono semplici per me e io non sono per questo mondo". Sante parole confessate in preda a qualche bicchiere di troppo e in seguito ad atteggiamenti mediocri di chi non merita di certo il mio sorriso. E allora che se lo scordasse. Che scordasse pure la mia semplicità, che dimenticasse pure il mio buonismo, la mia spensieratezza, la mia tranquillità, il mio "lascia passare tutto". Col cazzo.
Sono flussi di coscenza con la mente annebbiata, la voglia di spaccargli qualcosa addosso e il "rosso di rabbia" che colora il viso. Il mio viso. Assurda presunzione di trattare le persone con una superiorità immotivata ed insensata.
Voglio fottere questo mondo.
Che si fottessero tutti allora.
Cicerchiata ritrona.
Ma questa volta è spietata.

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